Ieri c'è sta la riunione del consiglio di classe, per parlare del famoso Piano didatico Personalizzato, a cui in base alla legge 170, l'alunna ha diritto.
Sono una donna "focosa" e ho come principio di base l'onestà, sopratutto quella intellettuale, credo che tra educatori, noi genitori e gli insegnanti dobbiamo stringere un vero e proprio patto, di reciproco e sincero scambio di informazioni, utile al superamento delle difficoltà sia di natura disciplinare che di natura didattica degli alunni.
Non credo che sia il caso di scrivere il mio intervento alla riunione, ne le risposte avute, posso solo scrivere che per me è stato molto doloroso, si è spezzato il patto di fiducia che pensavo si fosse instaurata dal primo anno.
La scuola, recentemente, ha affiancato l'alunna (mia figlia) con una psicologa specialista nel disturbo e un insegnante che le fa recupero con i sistemi tradizionali.
Ho cercato di capire cosa Emma (mia figlia) faccia con la specialista, a dire il vero ho interrogato anche un'altra ragazzina con DSA, amica di mia figlia che viene seguita dalla stessa, ma le informazioni sono state vaghe. Emma dice che si siede con lei in classe, forse le serve per farla stare attenta, l'altra ragazzina invece ha dei colloqui in sede separata.
Durante la riunione, forse troppo coinvolta emotivamente : in realtà ho perso le staffe, ho lasciato
l'aula , l'incontro è proseguito , con la dirigente (dott.ssa Gisella Caddeo) il corpo insegnante, il papà di Emma la logopedista e la psicologa (che seguono Emma in un centro privato ).
Ho perso le staffe, forse ingiustamente, per una serie di imprecisioni nell'esposizione dei fatti e perchè la Dirigente ha confermato che Il Piano Didattico personalizzato è un documento interno alla scuola.
Mi piacerebbe sapere come si concilia il patto tra scuola e famiglia con la mancata condivisione di tale Piano.